LINKIESTA 22/11/2012 Il Piemonte ha il debito della Sicilia, ora rischia il crac.

Il Piemonte è in default. La Corte dei Conti stima il buco in 6,4 miliardi di debito, ma c’è chi calcola sia pari a quello della Sicilia, circa 10 miliardi. Il governatore Cota ha già perso la maggioranza ma è stato salvato dal Pd. E ha detto di non sapere come pagare gli stipendi di dicembre.

22 novembre 2012 – 18:15
Roberto Maroni annuncia che si prenderà la Lombardia e poi farà l’euroregione del Nord con il Veneto e il Piemonte. Peccato che sulla tenuta del governo piemontese non possa contare molto. Infatti mercoledì scorso, dopo un tira e molla estenuante all’interno della maggioranza e un rimpasto annunciato e poi rinviato sine die, durante la votazione per la riconferma del presidente del consiglio regionale, Cota ha perso per strada 5 consiglieri del gruppo Progett’azione, già fuoriusciti dal Pdl, che hanno deciso di abbandonare la maggioranza per una poltrona, quella appunto della presidenza del consiglio rivendicata per rimanere in cambio a fianco di Cota.

È così il governo regionale è andato sotto. Ed è stato salvato dai voti del Pd, che ha tenuto in vita la giunta Cota, salvo poi chiedere una verifica per capire se ci sia ancora una maggioranza in grado di governare, così giusto per ricordare che il Pd è pur sempre un partito di opposizione. Ora il futuro politico della giunta, già logorata dai conflitti interni alla Lega e con il Pdl, è appesa a un filo. Il castello di sabbia può essere cancellato da un’onda anomala in ogni momento. Ora che si deve mettere mano ai conti, cercare di ridurre il debito di 10 miliardi di euro, ogni provvedimento finirà in un vicolo cieco perché, per avere la maggioranza, il consiglio regionale dipenderà da un voto solo, quello di Michele Giovine, il consigliere eletto con la lista dei Pensionati per Cota, condannato in secondo grado per firme false alla presentazione delle liste elettorali nel 2010. Oppure dai consiglieri di Progett’azione, usciti dalla maggioranza, che voteranno sui singoli provvedimenti. O dalla “magnanimità” del Pd, che dichiara di voler essere responsabile, ma in realtà teme, come il governatore Cota, una crisi di maggioranza che li riporterebbe alle elezioni, dritti in pasto alla rabbia dei cittadini contro la classe dirigente, che ha demolito la stabilità economica di una Regione, ormai considerata la prima del Sud al Nord.

Probabilmente però sarà la crisi economica, i costi ormai insostenibili dell’amministrazione pubblica, ad affondare la giunta. Come del resto ha ammesso ieri il governatore Cota, che ha dichiarato: «La Regione Piemonte è a un bivio. O completiamo il cambiamento che abbiamo avviato o ci imballiamo con conseguenze imprevedibili». Forse il paragone può sembrare forzato, ma la giunta Cota si trova in una situazione simile a quella in cui si è trovato Silvio Berlusconi esattamente un anno fa, quando non aveva più i voti necessari per governare il Parlamento, ma si dimise per lo stato disgraziato dei conti pubblici. Solo che al posto dello spread qui c’è un debito, che potrebbe portare al crac economico della Regione.

Il debito appunto. In realtà nessuno ne conosce l’esatta cifra. Secondo l’ultima verifica della Corte dei Conti depositata nell’agosto scorso, si legge che «L’esercizio finanziario 2010 si era chiuso con un disavanzo (- 614.892.358,38) che non è stato assorbito nell’esercizio 2011. Quest’ultimo esercizio si è chiuso con un disavanzo (-484.615.722,77) che appare diminuito rispetto a quello dell’esercizio precedente. Dai dati che precedono il risultato negativo del 2011 sembra ascriversi alla sempre più ampia differenza fra residui passivi e residui attivi che indica la mancata corrispondenza fra la diminuzione delle risorse e quella delle spese, mantenute in misura maggiore rispetto ai finanziamenti disponibili». Secondo la Corte dei Conti il debito totale della Regione Piemonte ammonta a 6,44 miliardi di euro. Un dato inferiore alle stime del governo regionale, ma che, udite udite, secondo uno studio recentemente elaborato dal Centro Pio La Torre è identico a quello siciliano (circa 10 miliardi, ndr).

Debito al 31/12/2010 5.830.107.089,81
Nuovi prestiti 600.000.000,00
Quota capitale rimborsata nel 2011 206.923.194,27
Debito al 31/12/2011 6.445.342.663,83
Fonte: elaborazione Corte dei Conti su bilanci Regione

Nella relazione della sezione piemontese della Corte dei Conti, che ammette di non avere tutti i dati finanziari necessari per un’analisi complessiva fra mutui, ammortamenti, eccetera, si arriva a questa conclusione: «Negli ultimi anni si sta imponendo all’attenzione del dibattito istituzionale il tema del consolidamento dei conti pubblici, inteso sia come processo di consolidamento dei conti di un’intera area o settore pubblico che, da un punto di vista maggiormente tecnico, quale adozione di modelli di bilancio consolidato diretti a fornire una rappresentazione esaustiva completa della situazione finanziaria dell’ente pubblico e degli organismi a vario titolo partecipati. Ad oggi, deve essere messo in luce che la Regione Piemonte non ha avviato un autonomo percorso normativo che preveda forme di consolidamento anche parziale dei dati finanziari della Regione con quella dei principali organismi partecipati. In relazione ai documenti che compongono il ciclo del bilancio, la Sezione rileva che la mancata predisposizione di alcuni documenti contabili (d.p.f.e.r. nel 2010, 2011 e 2012, legge di assestamento nel 2011) o il ritardo nella loro approvazione (legge di assestamento nel 2009 e nel 2012; rendiconto dell’esercizio precedente nel 2009 e nel 2011; bilancio di previsione nel 2010 e nel 2012) costituisce non solo violazione formale delle previsioni contenute nella legge di contabilità ma è elemento idoneo ad incidere negativamente sulla complessiva gestione finanziaria regionale». Tradotto: nessuno ha tutte le carte in mano per capire fino a che punto si sia spinto il disastro finanziario sabaudo.

Dall’analisi però si possono intuire alcune delle storture sulla gestione del bilancio. Infatti la Corte dei Conti piemontese parla di un indebitamento che è cresciuto dal 2006 ad oggi dell 81% e specifica che nel 2011 solo due Regioni hanno continuato ad indebitarsi: Lazio e Campania. E si può verificare come sono stati spesi i trasferimenti statali. E cioè che su 11 miliardi, il 90,32% è stato destinato alle spese correnti e al funzionamento della macchina amministrativa, di cui 19,6 milioni per trasferimenti a società controllate e di cui oltre 8 miliardi per la spesa sanitaria, mentre alla voce investimenti sono arrivate solo le briciole: il 6,7%.

«Nessuno ha mai accertato la cifra del debito, ma conta poco che si tratti di 10 o 11 miliardi. Il problema è che il Piemonte ha liquidità pari allo zero e non può più indebitarsi oltre perché ha superato la soglia consentita. E temo che se non si adotterà una seria politica di rigore e non si smetterà di sposare nei fatti una politica di spesa, andremo tutti a casa», spiega Angelo Burzi, capogruppo di Proggett’Azione. Forse le sue parole possono essere una reazione alla richiesta negata di una poltrona, quella della presidenza del Consiglio regionale, ma nessuno ormai nega lo stato di emergenza in cui si trova la giunta Cota. Secondo Il vicepresidente del Consiglio regionale, Roberto Placido, (tesoriere del Pd piemontese ) che l’anno scorso fece una campagna per mandare a casa Cota, conti alla mano, non ce la farà. Sia per la maggioranza in bilico, sia per i debiti che non riuscirà a ridurre. «Cota sarà l’ufficiale di fallimento dell’azienda regionale», ammonisce.

E allora si capisce perché un Cota pallido e teso, a una riunione di maggioranza nei giorni scorsi ha detto di non sapere come pagare gli stipendi di dicembre, salvo poi aggiungere che si troverà una soluzione al problema. Il problema? Il problema è che con l’assestamento di bilancio del 2012 pochi giorni fa è stata abolita l’agenzia regionale dei servizi sanitari, Aress. Il problema è che la Regione ha smesso di pagare gli stipendi della comunità montane, anche se l’assessore al Bilancio, Giovanna Quaglia, ha tentato di rassicurarle. Il problema è che il CSI, il consorzio informatico del Piemonte ha dei costi che secondo l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino, sono fuori mercato, ma vanta crediti verso regione e comune pari a 72 milioni di euro, che mettono a rischio 1200 posti di lavoro dei dipendenti del consorzio e circa cento aziende sub-appaltate, che a loro volta vantano crediti di 48 milioni euro e rischiano di chiudere a fine dicembre.

Il problema è che due settimane fa le aziende sanitarie hanno chiesto alla Regione dove siano finiti 900 milioni di accreditamenti che aspettano dal 2006 che non si sa dove siano finiti anche se l’ex governatrice della Regione, Mercedes Bresso, ha detto che sono stati pagati (ma non iscritti a bilancio e probabilmente usati per coprire le spese correnti). Ora l’assessore al Bilancio ha affidato a una società esterna il compito di verificare dove siano finiti i 900 milioni, ma questo ulteriore buco sanitario ha messo in allarme il ministero dell’Economia perché aggiungerebbe altri debiti ai due miliardi di euro di debito sanitario. Debiti che potrebbero portare al commissariamento della sanità piemontese.

E ancora: il problema è che due giorni fa l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino, ha dichiarato in commissione: «Non è possibile che in Piemonte ci siano più reparti di emodinamica che in Scozia», perché non riesce a sperare la muraglia cinese che si erige, ogni volta che cerca di accorpare reparti, ridurre i costi, abolire i piccoli ospedali. «La sanità è diventato un capro espiatorio della crisi della Regione» ha raccontato a Linkiesta il dirigente di un’azienda sanitaria.

«Secondo i miei calcoli la sanità ha un disavanzo di un solo miliardo e allora il problema non è tanto quello della sanità, ma piuttosto il debito complessivo della Regione», anche se ammette che la sanità registra un profondo squilibrio. «Ci sono 20 reparti di emodinamiche costruite per pressioni del mercato sanitario, di cui molte superflue» continua, «ma nel frattempo state ridotte drasticamente le cure domiciliari agli anziani non autosufficienti. E infatti ora c’è una lista di attesa 30 mila persone. È questo crea un rilevante congestione negli ospedali e pronto soccorso, dove gli anziani vanno a chiedere assistenza e cura».

Senza dimenticare che in agosto in Commissione sanità si è presentato un ex manager della Fiat – come lo è l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino – Ferruccio Luppi, ex ad dell’Iveco e consulente di Cota, che ha proposto di creare un fondo immobiliare sanitario. Secondo il Dagospia piemontese, lo Spiffero, un giornale digitale che racconta molte indiscrezioni del panorama politico ed economico piemontese, Luppi, dopo un passaggio nel gruppo Fiat, nel 2009 entra nel direttorio di Générale de Santé, il gruppo ospedaliero con 110 strutture di cura e oltre 23mila dipendenti in Francia, leader nel settore della sanità privata (ne fanno parte anche Mediobanca e Ligresti).

In ogni caso la proposta, che difficilmente otterrà l’approvazione del Consiglio regionale, è nel programma di risanamento dei conti pubblici previsto da Cota. Con l’istituzione di questo fondo, il 66% delle quote rimarrebbe nella disponibilità della Regione e il resto diventerebbe privato. Perciò su un valore immobiliare delle strutture sanitarie che equivale a un miliardo di euro, la quota di fondo ceduta ai privati vale circa 400 milioni di euro e le aziende sanitarie dovrebbero pagare circa 45 milioni annui di canoni di affitto su quella quota di fondo ceduta agli investitori.

Un progetto che suscita dubbi sulla gestione di una Regione, che ha compiuto un miracolo tripartisan. Accumulando debiti durante la gestione del PDl con Enzo Ghigo, raddoppiati durante il governo di Mercedes Bresso. E ulteriormente aumentati con l’arrivo della giunta leghista, che fino ad ora, è stata abbastanza inerte sul fronte del rigore e naviga a vista, senza conoscere l’esatta entità del suo passivo. Nel frattempo secondo i dati di Bankitalia il Piemonte ha un tasso di disoccupazione preoccupante: 9,1% nei primi sei mesi dell’anno a fronte del 7,5% dell’analogo periodo 2011 e al 4,7% nel primo semestre 2008. Sono in calo sia in contratti a tempo indeterminato (-7,1%) sia quelli a termine (-1,7%). Unica eccezione il lavoro intermittente o a chiamata (+38,9%) che rappresenta l’8,4% delle assunzioni di lavoratori dipendenti (era pari al 3,1% nella prima metà del 2009. Con una previsione di calo produttivo per le imprese per il 2013 del 25% .

Cota però insiste: «La Regione Piemonte non è fallita» ha dichiarato ieri. «Se andiamo avanti con il nostro programma la risaneremo: si deve dimezzare il suo indebitamento, passando da circa 10 miliardi a 5, entro il 2015. Se non proseguiamo con rigore nelle riforme sarà il baratro» ha aggiunto però il governatore piemontese, che ha ricordato come la spesa sanitaria pesi per l’82% sull’intero bilancio piemontese.

Le principali vie d’uscita indicate sono: prima di tutto chiedere che arrivino in cassa i 400 milioni già stanziati dal Governo, accelerare sulla spending review, ridurre i costi della macchina regionale, creare fondi immobiliari per avere liquidità, ricorrere alla cessione delle partecipazioni non strategiche; attivare strumenti che evitino di accumulare debiti nei confronti dei fornitori della sanità. Indipendentemente dalle dichiarazioni contraddittorie di Cota, il crac è dietro l’angolo e la maggioranza di fatto non esiste più. Senza dimenticare che nel frattempo il sindaco di Torino, Piero Fassino, non è ancora riuscito a risanare i 4 miliardi di debiti con la vendita delle quote delle partecipate da cui dipende il futuro del Comune perché a loro volta hanno bilanci troppo storti, pare, per essere appetibili. A queste condizioni la macroregione sognata dal segretario federale della Lega rischia di fare la fine dell’agognata Padania, poi perduta.

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